STORIE DI DRAMMATICA OMOFOBIA di A. RITELLA

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“Mio figlio è un delinquente, spezzagli le dita”. Così un 75nne torinese definiva il figlio, chirurgo omosessuale, a un uomo cui aveva promesso un compenso in denaro per picchiarlo. Il motivo del pestaggio sarebbe stata proprio la sua omosessualità. Il caso specifico dura da diverso tempo, però è una vergogna italiana – e non soltanto – non più tollerabile agli albori degli anni 20 del 2000. Non è più concepibile in questi anni sentire ancora in paesi, le cui costituzioni (si diceva) fossero le più progredite e democratiche al mondo, notizie di questo genere. Sono avvenimenti che colpiscono profondamente non solo la politica e le istituzioni che governano la macchina nazionale, ma anche sul piano personale tanti nuclei familiari e amicali. Certamente non sta nessuno giudicare la condotta di nessuno, ma un paese tra i fondatori della comunità europea non può ancora stare a guardare o piangere vittime di omofobia nella peggiore delle ipotesi o indignarsi di fronte a casi critici. 

In Italia questo autunno, dominato dalla pandemia, ha visto già un primo passo in avanti grazie all’impegno dell’on. Zan con una proposta concreta (tra i firmatari c’è anche il segretario di Articolo Uno Roberto Speranza), approvata alla Camera, nonostante le intransigenze da parte di vari mondi e dell’opposizione. Ora la parola è al Senato. 

Non è intenzione fare un appello, ma riflettere sul fatto che questo chirurgo torinese sia stato e sia ancora oggi una delle vittime di omofobia più in pericolo. In questo caso l’omofobia si consuma all’interno della propria famiglia di origine e si esprime in una delle peggiori forme sia in termini di volontà di violenza (il mandante voleva gli si spezzassero le dita) sia in termini di ingiuria (il mandante ha dovuto trovare giustificazioni “antiomofobe”). In questo caso un padre, per il solo orientamento sessuale del figlio, vuole che questi sia umiliato professionalmente e umanamente. Quasi il padre esprime il desiderio che questo figlio non esista più. 

Questa storia agghiacciante deve essere un segnale perché una severa legge contro l’omobitransfobia serve. Serve subito. Occorre che per soggetti violenti e capaci di tutto ci siano sanzioni esemplari. Occorre utilizzare lo strumento della formazione a tutti i livelli di istruzione per sensibilizzare ed educare i ragazzi nelle scuole ed affiancare tutte le famiglie, da quelle tradizionali a quelle “nuove”, da chi ha figli omosessuali a chi no, dai casi di transgenderismo a tutte le specifiche categorie tutelate dall’etichetta LGBTQIA+. Occorre garantire tutela e protezione alle discriminazioni in luoghi di lavoro e al bullismo scolastico, contrastando chi nel personale addirittura apostrofa le vittime di bullismo o di discriminazione come coloro che si mettono in mostra. 

Da questa legge potrà derivare un percorso che non dia contentini ma che raggiunga un obiettivo più importante, ovvero la convivenza serena e pacifica in una società di tutte le minoranze con la “massa tradizionale”. È chiaro che in una comunità nazionale o sovranazionale da ogni parte ci debbano essere delle rinunce o comunque degli sforzi culturali per comprendere gli altri, ma la tutela di tutte e tutti è un dovere democratico e vale per tutti il godimento di determinati diritti e il rispetto di sé come entità indipendente e libera.

 

Alessandro Ritella

 

21 dic 2020

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